“ In men che non si dica”,scrive sempre l’Imperatore filosofo, “cenere o scheletro e semplice nome o neppure più nome”.
A questo pensavo, indugiando di fronte al Ritratto di Musico del 1485, attribuito al grande Leonardo. Osservate questo ritratto.

Osservatelo attentamente. Forse l’avrete riconosciuto, o forse no. Lasciate comunque ch’io ve ne parli qui brevemente.
Alcuni giorni or sono, ho avuto modo di ascoltare una recente esecuzione di una composizione di Franchino Gaffurio, intitolata “Musices Septemque Modos Planetae”. Si tratta di un Coro in latino, di straordinaria bellezza. Ascoltandolo si è come rapiti e trasportati in un tempo lontano. D'un tratto ci si ritrova nel Medioevo, o forse ancora più indietro nel tempo. Di primo acchito lo si potrebbe scambiare per un canto gregoriano, ma ascoltandolo attentamente si è costretti a riconoscere che ci si trova al cospetto di qualcosa di diverso, di peculiare. La curiosità mi ha portato così, in primo luogo, ad informarmi su chi ne fosse l’autore. Le notizie su questo Franchino Gaffurio non abbondano, ma quelle reperibili sono sufficienti a farci un’idea del personaggio. Umanista a tutto tondo, nativo di Lodi e contemporaneo di Leonardo da Vinci , si dedicò a molti studi ed eccelse in svariate arti, insegnando Armonia in città italiane come Mantova, Verona e Napoli, per chiudere poi la sua prestigiosa carriera a Milano, dove lo volle Ludovico il Moro e fu per un certo periodo Maestro di Cappella del Duomo.
Il ritratto qui sopra, esposto nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, e attribuito a Leonardo, potrebbe raffigurare proprio il giovane Gaffurio. La cautela tuttavia è d’obbligo. A quanto pare infatti, la mano che regge lo spartito sarebbe venuta alla luce grazie ad una pulitura operata nel 1904 e solo allora si sarebbe pensato al Gaffurio. Nel foglio che il giovane musico stringe in mano sarebbe infatti leggibile la scritta Cant Ang, un indizio che molti studiosi interpretarono come un’abbreviazione di Cantum Angelicum, che potrebbe richiamare appunto il trattato Angelicus ac Divinum Opus, di Franchino Gaffurio. Per secoli si era pensato che questo olio su tela ritraesse Ludovico il Moro, in quanto posto a lato di un altro dipinto che raffigurava una duchessa di Milano. Come ciò sia stato possibile è difficile a credersi, vista la ben scarsa somiglianza col Duca, e il confronto con altri, più conosciuti ritratti dello Sforza, come quello che qui di seguito vi propongo, avrebbe dovuto indurre, effettivamente, a una maggiore cautela.

Ma la storia non finisce qui, poiché in tempi più recenti altri studiosi hanno avanzato l’ipotesi che il musico del ritratto non fosse Gaffurio ma il celebre Josquin des Prez, che soggiornò a lungo in Italia, prima a Milano, poi a Roma e Ferrara, dove fra l’altro compose per Ercole I la celebre Missa Hercules Dux Ferrariae. Anche Des Prez visse dunque al tempo di Leonardo e come lui morì in Francia, a distanza di appena due anni. Di Des Prez peraltro si conoscono altri ritratti, e la somiglianza col musico del nostro dipinto non appare risolutiva, come si può notare dalla tela riprodotta qui sotto.

Temo che non sapremo mai con assoluta certezza chi e' il musico ritratto nel dipinto. Né sapremo mai se Leonardo ne sia davvero l'autore. Certo, i critici sanno essere convicenti con le loro dotte osservazioni, ma non vi sono prove che il dipinto sia di Leonardo. Sarebbe anzi l'unico ritratto maschile conosciuto del grande maestro, che figure maschili ne ha dipinte sì ma, eccezion fatta per il suo celebre autoritratto, solo nell'ambito del sacro, come il Battista e il Gesù.
Non sapremo neppure quali sembianze avesse realmente il nostro Franchino Gaffurio, di cui pure c'è giunto almeno il nome, nonché le opere.
Provate ora ad ascoltare il suo coro, (ne troverete in rete svariate versioni) e i suggestivi versi di Lancinus Curtius che Gaffurio musicò:
Musices septemque modos Planete
Corrigunt septem totidemque chordis
Thracis antiqui lyra personabat
Cognita sylvis
Gaphuri tandem modulis levata
Musa:non longum dea carmen adde
Musicae: alterna vice nomen unum
Nectit utrasque...
Franchino, Ludovico, Josquin, Leonardo, Lancino...
"Pensa che tutti costoro giacciono morti da tempo, scriveva Marco Aurelio. "E in questo, cosa c'è di terribile per loro? E che cosa, poi, per coloro di cui non rimane neppure il nome? Una sola cosa, qui, ha davvero valore..."
E qual è questa cosa, questa sola cosa che il filosofo ci indica? Chiediamocelo anche noi, come se lo chiese Marco Aurelio. Cerchiamo anche noi la nostra risposta, onorando così il nostro "mestiere" di uomini.
"Ho osservato tutti gli esseri..." diceva Paracelsus, che a Ferrara conseguì il dottorato: "...pietre, piante e animali, e mi sono sembrate come lettere sparse rispetto alle quali l'uomo è parola viva e piena."
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